Di tutto questo periodo ben poco sappiamo di Suisio. Tuttavia non è a pensare che la vita fosse scomparsa. Ma è presumibile che il paese abbia continuato la sua vita agricola più o meno facilmente a seconda degli umori dei nuovi padroni.
In tutto quel marasma di sconvolgimenti politici si ebbe però una cosa stabile che riuscì ad amalgamare vincitori e vinti: la Chiesa. Essa andò sempre più irrobustendo la sua organizzazione, e poté in momenti di pubbliche calamità venire in aiuto dei suoi figli. Le frequenti donazioni di beni che dopo la pace di Costantino erano state possibili, le prestarono i mezzi.
E' proprio in un atto amministrativo ecclesiastico del secolo IX che compare alla ribalta anche Suisio . L'atto fu redatto nel dicembre dell''877. Parla della permuta, compiuta dal Vescovo Garibaldo, a nome della chiesa di S. Lorenzo, posta vicina alle mura della città, di molti beni che, situati in Iusiago, consistevano in 18 jugeri, (pari a 45 mila metri di terreno) con altri posti in vari luoghi: Suisio, Paltriniano, Redona. Questo documento ci rivela che la Chiesa era in possesso di beni anche nel nostro territorio ed inoltre è il primo documento conosciuto che cita Suisio, dopo i riferimenti al Pagus, e lo cita proprio come attualmente viene scritto.
Dalle molte carte consultate non ci è stato però possibile trovare l'origine del nome Suisio. In documenti successivi a quello sopra accennato, questo nome viene variamente scritto: nell'879 si scrive Sevisio, nel 980 Sevixio; più tardi si trova Sovizio; dal 1800 in poi viene sempre scritto Suisio.
Alla morte di Carlo Magno i Marchesi e i Conti riuscirono a rendere ereditario il possesso delle terre che l'imperatore aveva loro affidato da governare. Assoggettarono gli artigiani e i contadini e li resero quasi schiavi.
I nuovi padroni, Vescovi o laici, affidarono le loro terre ai Vassali, questi, a loro volta, ai Valvassori, e poi ai Valvassini. Si costituì così una piramidale gerarchia di amministratori, i nobili, che poggiava completamente sul popolo, sulla povera gente, la quale doveva lavorare e subire le ire, la fame e il peso delle lotte civili.
I nobili, nel cuore del loro territorio, in una posizione dominante e di facile difesa, costruivano il castello come abitazione e come fortezza. Questo si ergeva massiccio e severo, vigilato da torri e cinto da un fossato e da mura merlate; vi si entrava abbassando un ponte mobile di legno, detto levatoio. Dentro le mura, viveva una piccola società che a tutto provvedeva: vi erano le cucine, le stalle, le lavanderie, i magazzini, i forni, i pozzi, le armerie, gli alloggi per i servi e per gli armigeri. La parte più importante del castello era il torrione centrale, con la sala del trono, le stanze del Feudatario, ampie ed austere, ornate di trofei di guerra e di caccia, comunicanti attraverso botole e scale a chiocciola. Nulla vi mancava, nemmeno la cappella.
Il Feudatario viveva qui come un piccolo re, circondato da una folla di cortigiani, di soldati, di servi; e trascorreva la vita fra le occupazioni di governo, i banchetti, gli spettacoli, le battute di caccia e ascoltando i canti e le fiabe narrate dai cantastorie. Le donne tessevano e adornavano le vesti o i cimieri; i giovani si addestravano alla guerra.
Fuori dalle mura ai piedi del castello, si addossavano le casupole abitate dai contadini e dagli artigiani. Questi vivevano in condizione servile (servi della gleba) : lavoravano e combattevano per il Feudatario senza alcuna ricompensa e non potevano allontanarsi dal fondo perché appartenevano al padrone come gli attrezzi da lavoro.
Anche Suisio ebbe il suo castello. E' fatto cenno in un documento del 980. Si trovava in Castelletto, e la sua cappella era dedicata a S. Floriano . Il proprietario di allora era un certo Lanfrancus, nobile signore che possedeva campi, poderi, e che godeva di grande autorità nella provincia. I suoi successori ricevettero poi la carica di « avvocato del Vescovo », carica in seguito divenuta ereditaria.
Nel giugno del 1057, il Vescovo di Bergamo, Ambrogio II, che gli storici ritengono valente letterato e dottissimo nelle Sacre Scritture, si recò in Castelletto, nella casa del suo avvocato Guglielmo di Alberico, per completare un atto di compera di un piccolo fondo nel territorio di Medolago. Il 3 aprile del 1058 venne presentata al Vescovo, per mezzo del suo avvocato Guglielmo da Sevixio, la domanda di un certo Giovanni di Almenno, volta ad ottenere, per lavorare, un appezzamento di terreno della chiesa di S. Maria di Almenno. Come si vede il raggio di azione del nostro avvocato era abbastanza ampio, noi oggi diremmo: « Abbracciava tutta la diocesi». La tradizione dice che tutti chiamavano il nostro Guglielmo « l'avocat », per cui egli si assunse questo titolo come cognome e si chiamò: Guglielmo Avvocato, ed abitava nel Castello.
Testi e foto tratti da: SUISIO Appunti di Storia - Burgo Editore.